
Mercoledì 23 marzo è stata presentata a Roma la ricerca “Il costo sociale e sanitario della sedentarietà” realizzata da Svimez e Uisp, con il sostegno di Sport e Salute.
Ciò che emerge come primo importante elemento dai dati raccolti è il divario tra Nord e Sud Italia.
Nel Centro Nord il 42% della popolazione adulta pratica sport regolarmente e il 26,8% saltuariamente.
Nel Mezzogiorno le percentuali si invertono: la maggioranza pratica sport saltuariamente (33,2%) mentre la minoranza lo pratica abitualmente (27,2%). Questa differenza porta alla luce il dato sui sedentari, con particolare riferimento per i minori: 15% nel Centro Nord e 22% nel Centro Sud.
Nel meridione inoltre diminuiscono le aspettative di vita che rimangono di tre anni inferiori rispetto a quelle degli adulti centro-settentrionali.
La ricerca ha così indagato le differenze territoriali della pratica sportiva e le conseguenze sugli stili di vita consentendo di aumentare la conoscenza specifica del settore al fine di incrementare le azioni per la promozione dell’attività fisica e quindi del benessere dei cittadini.
Quasi la metà dei meridionali non pratica alcuno sport, contro il 30% nel Centro Nord. Per di più appena il 20% delle persone nel Sud fa sport in modo continuativo. Le conseguenze di questo stato di cose sono evidenti: il 12,08% degli adulti meridionali è obeso rispetto a circa il 10% del Centro Nord, quasi un minore su 3 nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso nel meridione, rispetto ad un ragazzo su cinque nel Centro Nord.
Il rapporto tra sport e spesa sanitaria
Mediamente, chi pratica regolarmente attività sportiva, vede ridotta la propria spesa sanitaria di 97 euro mentre i soggetti che non praticano attività sportiva vedono crescere la loro spesa sanitaria di 52 euro. Anche le abitudini e gli stili di vita sono importanti per spiegare la spesa sanitaria delle famiglie: un fumatore spende 87 euro in più l’anno.
L’obiettivo dell’indagine, presentata da Vito Cozzoli, presidente di Sport e Salute spa, Tiziano Pesce, presidente nazionale Uisp e Luca Bianchi, direttore di Svimez, è quello di verificare la relazione che esiste tra attività fisica e sedentarietà, anche rispetto alle condizioni di domanda e offerta nelle diverse regioni italiane, con particolare riferimento al Mezzogiorno.
La ricerca si è posta anche l’obiettivo di stimare l’impatto economico del fenomeno della sedentarietà sul sistema sanitario nazionale, attraverso l’impiego di tecniche statistiche ed econometriche.
Disuguaglianze socioculturali
Infine, sono stati approfonditi i gap che riguardano l’attitudine alla pratica sportiva tra il Mezzogiorno e il resto del Paese. Nella diffusione della pratica sportiva, pesano anche le disuguaglianze socioculturali. L’andamento della pratica sportiva non è omogeneo nelle diverse regioni del Paese anche per una differente disponibilità di impianti e strutture organizzate.
Sono stati analizzati gli stili di vita e i comportamenti del campione al fine di approfondire le abitudini circa il grado di attività e sedentarietà in Italia, in particolare in relazione ai cambiamenti e alle restrizioni legate alla pandemia da Covid-19 dell’ultimo anno.
Il 26,2% degli intervistati ha dichiarato di non praticare alcuno sport.
Gli under 16
La pratica sportiva degli adulti mostra però nel complesso una certa omogeneità tra Centro-Nord e Mezzogiorno, rispetto al campione degli under 16 dove emergono le maggiori differenze.
È infatti negli under 16 residenti nel Mezzogiorno che compare un considerevole divario nella pratica sportiva agonistica che è pari all’ 8,6% sul totale degli under 16 intervistati, tre volte inferiore rispetto al Centro Nord (24,8%). Inoltre, il tasso di bambini e ragazzi sedentari al Sud è pari quasi al 22% rispetto al 15% registrato nel Centro-Nord. Infine, la pratica sportiva nei minorenni appare al Sud e nelle Isole molto più saltuaria (24,2%) se non assente.
Gli impianti sportivi
Tra le ulteriori differenze che vengono alla luce, c’è quella che riguarda la tipologia di un impianto sportivo:
• nelle regioni settentrionali più di uno sportivo su due utilizza un impianto sportivo di proprietà e/o gestione pubblica
• al Sud solo il 37,5% pratica sport in un impianto pubblico, mentre il 62,5% può praticare sport solo in un impianto privato.
Un divario inevitabilmente generato da una minore diffusione di impianti sportivi pubblici nelle regioni meridionali e insulari.
Se l’analisi viene condotta a livello regionale, si nota che l’offerta di strutture è maggiormente carente in Sicilia, dove la quasi totalità (il 90%) pratica sport in strutture a gestione privata. Le regioni che registrano le quote più basse sono Campania e Sicilia con valori intorno al 23%, seguite da Calabria e Puglia dove la pratica sportiva negli impianti pubblici riguarda circa il 30%.
Il Mezzogiorno si presenta speculare al Centro-Nord: nelle regioni del Sud si registrano infatti i picchi più bassi di attività sportiva continuativa e quelli più alti di sedentarietà. I sedentari si concentrano prevalentemente in Sicilia (55,22%) e Molise (53,04%), ma anche in Basilicata, Calabria e Campania si registrano quote di inattivi superiori alla metà della popolazione (poco al di sopra del 51%), valori che scendono invece in Puglia (43,68%) e in Abruzzo e Sardegna. In alcune regioni, come la Campania, a ciò si aggiunge un tasso di fumatori del 28,36%, più alto della media meridionale (26,25%).
La ricerca sottolinea come gli investimenti nell’impiantistica sportiva appaiano cruciali per favorire la pratica sportiva, in particolare per categorie di soggetti fragili e a rischio di esclusione sociale, e per incoraggiare e sostenere la pratica sportiva del target più giovane di bambini e ragazzi.
In tal senso il coinvolgimento degli Enti pubblici locali e delle sedi territoriali dell’associazionismo sportivo appare fondamentale sia per l’attuazione di tali programmi regionali e la realizzazione di azioni specifiche, sia per la manutenzione di impianti preesistenti e di nuova costruzione.
Infine è proprio a livello locale che appare opportuno attivare un canale permanente di ascolto e monitoraggio dei bisogni e della domanda locale di pratica sportiva, soprattutto delle categorie più fragili, minori, anziani, disabili.
Policy d’intervento proposte lo studio Svimez, Uisp e Sport e Salute
Innanzitutto, rafforzare l’intervento pubblico nel settore dello sport è fondamentale per la produzione di benefici sociali diffusi per la collettività. E lo è altresì per la sostenibilità degli investimenti per l’impiantistica sportiva, in quanto il settore sportivo, soprattutto in relazione agli impianti, è ad alta intensità di capitale e presenta i più bassi indici di redditività nell’economia italiana.
Poi, bisogna investire sulla manutenzione degli impianti preesistenti, che è un fattore cruciale per l’erogazione di un servizio di qualità. L’auspicio, in particolare dopo la pandemia, è quello di un ritorno alle pratiche sportive abituali con conseguente aumento degli iscritti e del volume d’affari del settore.
Inoltre, bisogna lavorare affinché l’intervento pubblico, a partire dalle risorse del PNRR, possa imprimere nuovo slancio al settore, sia per migliorare lo stato di salute psicofisico della collettività che per ridurre al minimo stili di vita poco salutari, soprattutto nelle generazioni più giovani.
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